venerdì 1 maggio 2015

mercato immobiliare Ecco perché le case costano sempre care

MISTERO I prezzi sono saliti del 30% in 35 anni. L ’i n fl a z i o n e non c’entra. La causa? Le rendite alzate da vincoli troppo stringenti e dalla pessima gestione dell’edilizia popolare
diMarco Ponti Èuna cosa assoluta- mente ovvia che il prezzo di una casa, identica a un’altra co- me qualità, cioè con costi di costruzione identici, cresca in proporzione a quan- te case di quel tipo sono disponibili sul mercato, cioè ai vincoli posti alla co- struzione di case. Un recente studio dell’Università di Yale per esempio di- mostra che i costi di costruzione delle case sono rimasti pressoché costanti in termini reali, ma i prezzi sono cresciuti del 30% negli scorsi 35 anni (eliminan- do le fluttuazioni cicliche del mercato). Inutile anche sottolineare che il pro- blema è molto acuto in termini sociali, perché colpisce in proporzione i red- diti più bassi, le nuove coppie e gli extracomunitari. L’Eco n o m i s t ha dedi- cato al fenomeno la copertina e diversi articoli, citando estese evidenze stati- stiche della correlazione stretta tra i vincoli urbanistici all’edificazione e la crescita della rendita urbana, cioè del valore dei terreni edificabili rispetto a quelli a destinazione agricola.
QUESTO FENOMENO si era storica- mente ridotto, e di molto, con l’avvento della motorizzazione privata, che aveva consentito un mercato delle case e dei terreni assai più competitivo, rendendo possibile raggiungere località anche molto esterne in tempi ragionevoli. Og- gi invecesembra essersiin parteripre- sentato nelle città caratterizzate dall’“industria della conoscenza”(val - gaper tuttilaSiliconValley inCalifor- nia,ma vengonocitateanche Milanoe Bangalore...) e dalle grandi concentra- zioni di attività finanziarie (Londra, New York). L’aumento di valore delle aree e degli edifici nelle zone centrali, comesi citain unoaltro studiorecente del Massachusetts Institute of Technology, sembra che sia una delle maggiori cause dellediseguaglianze diredditoeviden- ziate dal celebre economista neo-mar- xista Thomas Piketty, e confermate in
molti contesti specifici, anche nel no- stro Paese. Accanto a quelledall’Eco n o m i s t , si pos- sono anche citare le analisi compara- tive chemisurano il numerodi annua- lità di reddito medio necessarie per comprarsi una casa standard: anche da queste analisi emerge una stretta cor- rispondenza tra la “costosità in relazio- ne al reddito”(“affordability”di W. Cox) della casa, ed i livelli dei vincoli urbanistici all’edificazione. I valori mi- nimi si registrano a Kansas City, celebre per avere vincoli pressoché nulli. Noi ci
collochiamo, insieme a tutta l’Europa, suvalorimedio-alti. Certo:ladisponi- bilità di suolo del Kansas non è esat- tamente simile a quella italiana, come non èesattamente simileil valorepae- saggistico deidue territori.Anzi, ilva- lore paesaggistico di molte parti del ter- ritorio italiano è quello di un bene ri- conosciuto eccezionale a livello mon- diale, fonte di rilevanti redditi turistici che si estendono nel futuro, ma costi- tuisce anche un valore culturale irri- nunciabile, non riconducibile a mere grandezze economiche. Tuttavia il pro-
blema sociale del prezzo delle abitazio- ni e della distribuzione del reddito per- mane, edè accentuatodalla crisiattua- le. L’Economist propone di aumentare in termini relativi la pressione fiscale sulle rendite urbane, ma soprattutto di tas- sare in proporzione di più le case vuote e i terreni edificabili non utilizzati, e meno le case utilizzate, al fine di au- mentare l’offerta di abitazioni per que- sta via, abbassando così i prezzi. Un’altrasoluzionepossibile èquelladi ridurreivincoli all’edificabilità in mo- do selettivo, cioè favorendo la costru-
zione di edifici nuovi multipiani, anche in aree esterne dove necessariamente i prezzi delle abitazioni sarebbero infe- riori (gli alti prezzi sono indissolubil- mente connessi all’accessibilità e ai ser- vizi delle aree). Ciò al fine di contenere, dove necessario, il consumo di suolo, anche se le argomentazioni, oggi molto diffuse, che tale consumo vada ridotto per “difendere l’agricoltura”sembrano davvero poco consistenti.
IL RICORSO a modelli di edilizia sov- venzionata si scontrano invece da un lato con la scarsità di risorse pubbliche, dall’altro con una serie di risultati ca- tastrofici dovuti a gestioni clientelari, disattente ai bisogni sociali reali (il di- ritto acquisito è “per sempre”, senza ve- rifiche nel tempo dei redditi dei resi- denti, fenomeno unico in Europa), e ancor meno attente all’illegalità diffusa delle occupazioni abusive. Ma certo nulla vieta di tentareuna seria riforma di questa strategia, almeno nel medio periodo. Rimane infine sullo sfondo il problema delle categorie socialirealmente molto deboli, come i Rom o gli extracomu- nitari di recentissima immigrazione. Le rispostequi nonsonosemplici, datigli elevatissimi standard edificatori che la nostra normativa impone: edifici in ce- mento armato dotati di ogni servizio, ecc. Eppure come dimenticare che l’in - tegrazione dei gruppi di immigrati “ul - timi arrivati”negli Stati Uniti è avventa attraverso la diffusissimapratica (lega- le) dell’autocostruzione di case sempli- cissime, e via via di standard più elevati al crescere del reddito? Ma consentire l’autocostruzione in Italia oggi sembra davvero un tema che postulerebbe un diverso approfondimento, come d’al - tronde quello della dannosissima rigi- dità del mercato del lavoro causata dalla dominanza, sempre politicamente fa- vorita, della casa inproprietà, con una strutturanormativae fiscalecherende il cambio di residenza per compra-ven- dita estremamente costoso. il fatto quotidiano 29 aprile 2015

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