domenica 10 maggio 2015

Expo, un milione di metri quadri che nessuno vuole


FRA SEI MESI FINIRÀ E NON C’È ALCUN PROGETTO SU COSA FARE NELLE
IMMENSE AREE. COMUNE E REGIONE RISCHIANO DI PAGARE IL CONTO
DOPO L’ESPOSIZIONE UNIVERSALE
di Gianni Barbacetto
Milano
Expo è partita e, come diceva Chiambretti,
comunque vada sarà un successo”.
Ma tra sei mesi chiuderà i cancelli:
che cosa succederà allora? Come
sarà utilizzata l’immensa area su cui sorge, di oltre
1 milione di metri quadrati? Se il ritardo per i padiglioni
è stato quasi del tutto recuperato, resta e
anzi si aggrava quello per il dopo Expo. Poteva
essere un’occasione per progettare e ridisegnare
un pezzo di città, pensandoci già dal 2008, quando
Milano vinse contro Smirne. Invece si sta cercando
ora, disperatamente, una soluzione a un puzzle
complicatissimo. Ieri Arexpo, la società pubblica
che ha comprato le aree, ha aperto le buste delle
manifestazioni d’interesse” di chi si fa avanti per
fare l’advisor, il “regista”che dovrà tentare di comporre
i pezzi: si sono presentati in 25, università,
banche, immobiliaristi, “sviluppatori”, studi d’ar -
chitettura. In dieci giorni Arexpo manderà le lettere
d’invito per ricevere le offerte al ribasso. Entro
tre settimane sarà deciso il vincitore.
La ricerca dell’advisor si è resa necessaria dopo
l’intervento del presidente dell’Autorità anticorruzione
Raffaele Cantone: ci sono in ballo soldi
pubblici, dunque bisogna trovare, con una gara
pubblica, un soggetto terzo capace di valutare le
proposte e di mettere insieme diversi operatori
(università, imprese, soggetti pubblici e privati).
Più che un advisor sarebbe necessario un re filosofo,
un Adriano Olivetti ma con i poteri di Hulk.
Anche perché il bando offre soltanto 90 mila euro
(con gara al massimo ribasso) per compensare
questo santo disposto a lavorare tanto, con alta
probabilità di insuccesso.
La fuga degli immobiliaristi
La strada dell’advisor è stata imboccata dopo che
era andata deserta la prima gara, quella che doveva
scegliere, nel novembre 2014, lo “sviluppa -
tore” disposto a comprare l’area a 314 milioni.
Naturalmente non si è fatto vivo nessuno. Nessun operatore immobiliare è così masochista da imbarcarsi
in un’operazione costosissima e rischiosissima,
in tempi di crisi e in una città già piena di
grattacieli vuoti e di edifici invenduti. Ora il nuovo
advisor dovrà valutare e tentare di comporre le
idee sbocciate negli ultimi mesi. Il rettore
dell’Università Statale di Milano, Gianluca Vago,
ha proposto di costruire al posto dei padiglioni la
nuova Città Studi, con le facoltà scientifiche, i
campus, gli istituti di ricerca. Aggiungendoci, come
il carico a briscola, un acceleratore di particelle
tipo Cern o un’altra grande infrastruttura tecnologica.
Il presidente di Assolombarda, Gianfelice
Rocca , ha proposto Nexpo, una Silicon Valley milanese,
un polo dell’innovazione trasportando lì le
aziende hi-tech piccole e grandi, da Microsoft a
Cisco, da Ibm ad Alcatel, fino ad Accenture. Non
esiste niente di simile in Italia, dice chi le propone,
ma ci sono esempi in Europa, a Rotterdam, ad
Amsterdam, a Barcellona. Ma è il puzzle più complicato
del mondo: il tempo stringe, le bonifiche
sono ancora da fare e, soprattutto, chi ci mette i
soldi? L’idea università più polo hi-tech è ottima:
creerebbe un’area d’eccellenza in una zona molto
ben infrastrutturata. E potrebbe evitare, almeno
in parte, l’ennesima cementificazione in città, con
altri edifici per residenza e terziario a forte rischio
di restare invenduti. Peccato però sia difficile da
realizzare. Innanzitutto perché c’è da lavare il
peccato originale di Expo: l’esposizione di Milano
è stata costruita, per la prima volta, non su terreni
pubblici, ma privati. Questo ha caricato il pubblico
(essenzialmente Comune di Milano e Regione
Lombardia) di 160 milioni di debiti nei confronti
delle banche (Intesa, Popolare di Sondrio,
Veneto Banca, Credito Bergamasco, Bpm e Imi).
Arexpo li dovrà restituire nei prossimi tre anni: 30
nel 2016, 30 nel 2017, 30 nel 2018. Altri 45 milioni
li dovrà dare a Fondazione Fiera, per pagare i terreni
messi a disposizione per Expo. Dove trovare
questi soldi? Vendendo le aree. Arexpo, sulla
scorta di una valutazione dell’Agenzia delle Entrate,
pretende 314 milioni. Questo è il primo problema.
Il secondo è trovare altre centinaia di euro
per costruire le facoltà, gli impianti sportivi, l’ac -
celeratore e gli edifici da offrire in affitto alle
aziende tecnologiche disposte a trasferirsi.
Lo scaricabarile di Maroni
La prima riunione per cercare di mettere insieme
i soggetti che dovrebbero trovare la soluzione del
puzzle è stata venerdì 24 aprile. Per il Comune di
Milano c’erano il sindaco Giuliano Pisapia e il vicesindaco
Ada Lucia De Cesaris. Per la Regione
Lombardia, il presidente Roberto Maroni. Per il
governo, il ministro con delega Expo Maurizio
Martina. Per la Statale, il rettore Vago. Per Assolombarda,
Pietro Sala e il delegato per Expo Fa -
bio Benasso (che è anche amministratore delegato
di Accenture Italia). Presente anche Roberto
Reggi del Demanio, interessato a trovare una
nuova sede che unifichi i suoi diversi uffici sparsi
per la città. E infine Franco Bassanini e Andrea
Novelli , presidente e direttore generale di Cassa
Depositi e Prestiti. I presenti si sono annusati.
Maroni ha tentato il colpo: vendere al governo, o
alla Cassa Depositi e Prestiti, la quota in Arexpo (il
27,6 per cento) di Fondazione Fiera. Così la Fondazione,
che sta sotto l’ombrello della Regione,
porterebbe a casa altri 26 milioni di euro, dopo
averne incassati (almeno virtualmente) già 66
vendendo nel 2011 ad Arexpo una fetta dei terreni
agricoli su cui è stata costruita l’esposizione. Realizzerebbe
dunque un totale di 92 milioni, per terreni
comprati nel 2002 a 14 milioni: almeno un
miracolo, l’esposizione universale l’ha già fatto.
Restano da comporre gli altri elementi del puzzle .
Primo: l’università. Il rettore Vago è stato il primo
a formulare la proposta di spostare le facoltà
scientifiche nell’area Expo, 18 mila persone tra
studenti e professori. Costo: 450 milioni. Ora
stanno a Città Studi: Matematica, Medicina, Farmacia,
Agraria, Veterinaria, Fisica, Biologia, Chimica,
Informatica occupano circa 160 mila metri
quadrati; con un’area verde non ancora occupata
e l’orto botanico di Cascina Rosa (non edificabile)
si arriva a 200 mila. In più ci sono le residenze
universitarie (Bassini, Modena, Plinio). Che fare?
Chiudere tutto, vendere (a chi?) e con i soldi ricavati
spostarsi a Expo? Difficile far tornare i conti.
Gli specialisti dicono che si può ricavare da 80 a
200 milioni, meno della metà dei 450 necessari.
Una parte dell’area vale poco, perché è tutelata da
vincolo monumentale e gli edifici a due piani
d’inizio Novecento non si possono demolire.
Inoltre a Città Studi stanno già costruendo la nuova
sede per Informatica, con un appalto di 24 milioni
di euro: che fanno, si fermano a metà? Veterinaria
sta già traslocando a Lodi, con un impegno
di 53 milioni: cambiano in corsa? Sognando Bassanini e la Cdp
La speranza è che i soldi che mancano li metta la
Cassa Depositi e Prestiti, che però ha già fatto capire
che, gestendo il risparmio postale degli italiani,
vuole entrare solo se l’operazione non sarà
in perdita. Dovrebbero poi essere fondi europei a
finanziare l’acceleratore di particelle o altra infrastruttura
di ricerca (costo previsto: 600 milioni)
che dovrebbe fare dell’area Expo una sorta di
nuovo Cern. Ma anche qui l’idea è ancora tutta da
concretizzare. Poi c’è Assolombarda, che si propone
come “aggregatore” di aziende: 120 piccole
più le grandi e le multinazionali che hanno già
dato la loro disponibilità di massima a trasferirsi
all’area Expo, purché gli affitti non siano fuori
mercato e l’area resti tutta compatibile con l’idea
di polo tecnologico-innovativo. Dunque niente
stadio (che invece piaceva tanto a Maroni), niente
megacentri commerciali. Anche qui, tempi lunghi
e incerti, e l’operatore immobiliare ancora da
trovare. C’è infine un problema di quantità.
L’università potrebbe occupare 200 mila metri
quadrati, Nexpo altri 100 mila. L’area è di oltre 1
milione di metri quadri: che cosa fare nel resto,
anche considerando che metà dovrà rimanere a
verde? Quanto terziario, pubblico e privato, dovrà
essere aggiunto per far quadrare i conti, non
solo dei metri quadrati, ma soprattutto dei milioni
di euro necessari per rendere l’operazione
finanziariamente sostenibile?
Delle due strutture che resteranno dopo Expo, solo
una, la Cascina Triulza, ha un destino certo:
sarà la sede di associazioni e ong del volontariato;
l’altra, Palazzo Italia, non si sa a cosa sarà destinata.
Expo andava pensata in funzione del dopo,
e non viceversa”, dice il presidente di Arexpo Lu -
ciano Pilotti. Ora il rischio è che il cerino, alla fine,
resti in mano a chi ci ha già messo i soldi per le
aree: Comune e Regione (32,6 milioni ciascuno).

Si aprono mesi – anni? – incerti. il fatto quotidiano 9 maggio 2015

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