venerdì 29 novembre 2013

tagli alle energie naturali e rinnovabili per aiutare quella sporca di centrali a olio e carbone

TAGLI ALLE RINNOVABILI PER AIUTARE L’ENERGIA SPORCA NEL MAXI-EMENDAMENTO ALLA MANOVRA IL GOVERNO INFILA UN COMMA CHE FINANZIA ANCORA UNA VOLTA LE CENTRALI A OLIO E A CARBONE 200-500 MILIONI Il fatto quotidiano 30 novembre 2013 M5S e Fiom contrari al progetto. Favorevole il lobbista delle imprese elettriche, Chicco Testa E c’è il pericolo che il conto arrivi in bolletta di Salvatore Cannavò e Stefano Feltri Nel migliore dei casi ci sarà un taglio degli incentivi alle energie rinnovabili per tenere aperte vecchie centrali a carbone; nel peggiore, un aggravio sulle bollette di una cifra tra 200 e 500 milioni di euro. Colpa del comma 99 del maxi-emendamento governativo, cioè di fatto la versione finale della legge di Stabilità uscita dal Senato. VIENE ESTESO al 2014 un programma di sostegno alle fonti tradizionali lanciato dopo l'ultimo black out, nel 2003. Ma siccome in Italia niente è più duraturo del provvisorio, ecco che il programma prosegue: visto che non ci si può fidare del tutto del gas che arriva da zone rischiose come la Russia e l’Ucraina, meglio tenere aperte le centrali a olio combustibile, non si sa mai cosa può succedere. Un sussidio ai produttori inquinanti, dicono i critici. Una forma di assicurazione per difendere l'interesse nazionale e 10 mila posti di lavoro, rispondono i produttori (secondo il Corriere della Sera i mandanti del comma 99 sono Enel e Sorgenia, quest'ultima in difficoltà e che non disdegna quindi l'aiuto). Si chiama capacity payment e all'Europa non piace, il commissario Günther Oettinger continua a ripetere che i governi dovrebbero prima “ana - lizzare le cause dell'inadeguatezza” e poi, eventualmente, concedere questi sussidi-assicurazioni. E soprattutto non bisogna pensare gli incentivi per sostenere il mercato nazionale ma, se proprio si vogliono creare meccanismi di assicurazione garantendosi approvvigionamenti di riserva, la prospettiva deve essere europea. Altrimenti sembrano un po’ troppo aiuti di Stato. Il comma 99 suona rassicurante: il sostegno alle fonti tradizionali avverrà “senza nuovi o maggiori oneri per prezzi e tariffe dell'energia elettrica, anche disponendo un’adegua - ta partecipazione delle diverse fonti ai costi per il mantenimento del sistema elettrico”. Quindi due opzioni: o il costo, attorno ai 500 milioni, viene caricato sulle “diverse fonti” (solare, eolico, fotovoltaico ecc) oppure finisce in bolletta per qualche canale laterale. Il Movimento Cinque Stelle, con il senatore Gianni Girotto, ha denunciato che con questo meccanismo si vuole “garan - tire i profitti ai grandi gruppi industriali interessati nella produzione di energia scaricando i così sui soliti noti, i consumatori”. ANCHE LA FIOM esprime un “giudizio negativo” per un progetto finalizzato a difendere “gli interessi dei produttori da fonti fossili” e che va a sovvenzionare le stesse centrali ferme. La polemica investe l’intera Cgil che, nell’ambito dell’indagine conoscitiva della Commissione Attività produttive della Camera, presieduta da Guglielmo Epifani, ha inviato una memoria che, secondo la Fiom, è “inadeguata” e sostanzialmente legata alla filiera dell’energia tradizionale. Il dibattito in Commissione, in effetti, è stato finora a senso unico. A spiccare l’au - dizione dell’ex anti-nuclearista Chicco Testa, oggi presidente di Assoelettrici che è intervenuto per dare un messaggio esplicito: basta fondi alle rinnovabili, pensiamo alle centrali a carbone e a olio. Il governo ha prontamente eseguito.

“ILLEGALI I SOLDI AI PARTITI” C’È UN GIUDICE A ROMA IL PROCURATORE DELLA CORTE DEI CONTI

DEL LAZIO RICORRE ALLA CORTE COSTITUZIONALE: ”CON IL RITORNO DEI FONDI PUBBLICI VIOLATO IL REFERENDUM” di Sara Nicoli Ce l’hanno messa tutta e in vent’a nni si sono intascati 2,7 miliardi di euro nonostante 31 milioni di italiani, nell’aprile del ‘93, avessero votato, in modo plebiscitario, per l’a b o l i z i one del finanziamento pubblico ai partiti. Un referendum, promosso dai Radicali, diventato carta straccia grazie a sottili artifici lessicali che hanno trasformato i “finanziamenti” in “r i mborsi”, aggirando la volontà popolare fino a quando, con lo scandalo della Lega, ma anche con il caso Lusi e molti altri accadimenti legati al malcostume della Casta, la volontà popolare si è trasformata in incitamento alla protesta da parte di Grillo e dei suoi. Inducendo perfino il pacato Enrico Letta a minacciare, dal giugno scorso in poi, di intervenire “anche per decreto” pur di mettere fine alla faccenda. ORA, dopo che la Camera ha approvato, non senza sforzo e disagio, una legge che dovrebbe interrompere l’erogazione a pioggia di denaro sui partiti, salvo poi scordarsela in commissione Affari costituzionali del Senato, ecco che ieri un giudice ha messo fine al balletto, sollevando una questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale. Stiamo parlando del procuratore del Lazio della Corte dei Conti, Raffaele De Dominicis. Che, in pratica, ha messo in mora tutte le leggi, a partire dal 1997, che hanno reintrodotto il finanziamento pubblico dei partiti, per averlo fatto “in difformità” rispetto al referendum del ‘93. La decisione è partita dopo l’indagine istruttoria aperta nei confronti di Luigi Lusi, sotto processo anche penalmente per illecite sottrazioni di denaro pubblico. Per De Dominicis, tutte le leggi che la Casta ha prodotto e votato per continuare a mettere le mani nelle tasche dei cittadini, “sono da ritenersi apertamente elusive e manipolative del risultato referendario, e quindi materialmente ripristinatorie di norme abrogate”. Per la Corte dei Conti, quindi, “tutte le disposizioni impugnate, a partire dal 1997 e, via via riprodotte nel 1999, nel 2002, nel 2006 e per ultimo nel 2012, hanno ripristinato i privilegi abrogati col referendum del 1993, facendo ricorso ad artifici semantici, come il rimborso al posto del contributo; gli sgravi fiscali al posto di autentici donativi”. Dalla normativa contestata, sempre secondo il magistrato contabile, deriva “la violazione del principio di parità e di eguaglianza tra i partiti e dei cittadini”. Infatti – argomenta – i rimborsi deducibili dal meccanismo elettorale “risultano estesi”, dopo il 2006, a tutti e cinque gli anni del mandato parlamentare, in violazione “del carattere giuridico delle erogazioni pubbliche, siccome i trasferimenti erariali, a partire dal secondo anno, non solo si palesano come vera e propria spesa indebita, ma assunti in violazione del referendum dell'aprile 1993”. Insomma, i partiti hanno “preso in giro” i cittadini “attraverso la finzione del linguaggio”, come sottolineato dal professor Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza”, ma questo non ha fermato la Casta. Che ora, forte anche dell’attesa su una pronuncia della Corte, potrebbe decidere persino di non proseguire nell’approvazione del nuovo ddl in stallo in commissione Affari costituzionali del Senato, per evitare che venga dichiarato incostituzionale appena approvato. D’altra parte, dentro quel provvedimento è scritto chiaramente che l’eroga - zione dei fondi pubblici si sarebbe dovuta interrompere nel 2017. Una data troppo lontana, a ben guardare, per la Corte costituzionale che solo ora, si sottolinea, può intervenire sul tema perché chiamata in causa direttamente da un giudice. E poi in quella legge sono contenute una serie di storture che non risolvono assolutamente il problema così come impostato dal giudice contabile alla Consulta. Si prevede, infatti, l’iscrizione dei partiti che possono essere inseriti nell’ap - posito registro e accedere così al finanziamento, mentre altri no (guarda caso, i 5 Stelle, perché non hanno lo statuto), ma a pagare è sempre lo Stato. PER L’ANNO in corso e i prossimi tre anni l’esborso sarà sempre forte: nel 2014, 91 milioni di euro; 54 milioni e 600 mila per il 2015; 45 milioni e mezzo per il 2016 e per il 2017 circa 36 milioni 400 mila. A queste somme si aggiungono le donazioni dei cittadini che potranno dare il due per mille mentre il tetto del finanziamento da parte dei privati è stato innalzato, alla fine, fino a oltre 100 mila euro. Insomma, l’ennesimo modo per aggirare la volontà popolare. Resta da vedere che cosa farà il governo alla luce di questa assoluta novità giuridica che ieri ha visto i grillini chiedere di nuovo “la restituzione dei soldi agli italiani” e Mario Staderini, segretario dei Radicali, affermare che per “vent’anni i partiti hanno fatto un furto agli italiani”. La cifra è comunque imponente, sicuramente scandalosa in tempi di crisi come questi, dove si fatica a comprendere il distacco della politica da un problema così evidente. Perché salta agli occhi fin troppo chiaramente che chissà quante cose avremmo potuto fare con 2,7 miliardi di euro in più a bilancio dello Stato. Spesi diversamente. Nel 1993 referendum 31 milioni di no APRILE 1993, più di 31 milioni di italiani votano per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Tangentopoli è scoppiata da un anno, i magistrati milanesi hanno già scoperto numerose mazzette ai tesorieri di quasi tutti i partiti italiani. Il referendum è stato fortemente voluto dal Partito radicale. I cittadini italiani, stanchi delle ruberie e scottati dal prelievo forzoso sui conti correnti imposto dal governo Amato, dicono basta ai soldi pubblici ai partiti. Ma la loro volontà sarà tradita a dicembre, quando il Parlamento aggiorna una legge precedente. Non più finanziamenti, ma “rimborsi elettorali”. il fatto quotidiano 30 novembre 2013

Regione Lazio fallita da dieci anni. Solo nel 2012 voragine di 4 miliardi di euro

Secondo la Corte dei Conti l’indicatore della sostenibilità di indebitamento nel periodo 2003-2012 dell'ente "è sempre negativo ed in misura significativa nell’ultimo triennio dimostrando, quindi, che attraverso l’istituto del cosiddetto mutuo a pareggio si è rappresentata una situazione solo formale di equilibrio dei conti"

di  | 29 novembre 2013 La Regione Lazio è fallita da dieci anni, sui suoi conti pesa una voragine da 4 miliardi di euro, solo nel 2012, i suoi debiti ammontano a 11,7 miliardi che non riuscirà a pagare. Il sistema degli appalti pubblici è al collasso, mentre la spesa ospedaliera è “squilibrata e inefficiente” e l’assenza della politica pesa. La radiografia disastrosa dello stato di salute dell’ente da nove mesi guidato dal successore di Renata Polverini, Nicola Zingaretti, emerge dalla relazione dei consiglieri dellaCorte dei Conti, Rosario Scalia e Maria Teresa D’Urso, all’udienza di parificazione del rendiconto regionale dell’Ente.
L’indebolimento del quadro economico generale, la diversa allocazione delle risorse e la riduzione dei trasferimenti statali alle regioni, ovvero “la stretta finanziaria” ha messo in “tensione la tenuta degli equilibri del bilancio della Regione Lazio, che già versava in una strutturale crisi di liquidità”, riportano i magistrati contabili. I quali sottolineano come il fatto che “l’amministrazione regionale non ha predisposto ed approvato il Dpef 2012-2014 e la carenza, in un quadro finanziario regionale da tempo economicamente compromesso”, privi la politica di un “indispensabile strumento di programmazione“.
Per i magistrati contabili del Lazio, infatti, “nel bilancio preventivo 2012 della Regione le capacità di entrata e di spesa fanno emergere percentuali di scostamento che testimoniano un’incapacità programmatoria dell’ente”. Quindi “il bilancio preventivo 2012 risulta approvato in una situazione di pareggio solo formale, basato su una programmazione inidonea a garantire l’equilibrio di bilancio previsto dalla Costituzione”, anzi, “idonea a favorire un disavanzo della gestione di competenza che si è poi verificato”. Ecco che allora i dati contabili dell’esercizio finanziario 2012 “evidenziano la situazione di preoccupante deterioramento dei conti. La gestione dell’esercizio 2012 non ha garantito l’osservanza del principio dell’equilibrio di bilancio. In sostanza, l’amministrazione regionale ha “sostenuto maggiori spese rispetto alle risorse che ha accettato”.
Uno dei dati importanti segnalati è che l’indebitamento 2012 è di 11,741 miliardi di euro cifra notevole benché in diminuzione del 3,83% rispetto al corrispondente importo 2011″.  La tenuta della situazione finanziaria complessiva, quindi, “deve essere valutata anche con riferimento allasostenibilità prospettica dell’indebitamento regionale, cioè alla capacità reale delle casse regionali di onorare quegli impegni che, negli anni, sono stati coperti con lo stanziamento di mutui, poi non accesi”. Nel caso della Regione Lazio l’indicatore della sostenibilità di indebitamento nel periodo 2003-2012 “è sempre negativo ed in misura significativa nell’ultimo triennio dimostrando, quindi, che attraverso l’istituto del cosiddetto mutuo a pareggio si è rappresentata unasituazione solo formale di equilibrio dei conti“. In conclusione, la Regione Lazio “si trova da almeno un decennio in stabili condizioni di insolvenza finanziaria, attenuata nel 2013 dal ricorso al decreto pagamento”.
Tra l’altro “dalla relazione illustrativa sull’inventario emerge la mancanza nell’amministrazione regionale della cognizione completa del patrimonio immobiliare. La stessa amministrazione stima necessario un periodo di 3/5 anni per definire la situazione ed entrare nella normalità operativa per il completamento dell’attività di identificazione, censimento ed accatastamento di ogni singola partita. Tuttavia emerge, per la prima volta, nell’amministrazione regionale, la consapevolezza del problema e la volontà di pervenire ad una conoscenza piena del dato sostenziale”, sottolinea ancora la relazione.
Segnali parzialmente positivi, poi, dalla sanità. “L’analisi dei dati relativi al settore sanitario mostra per il 2012 una significativa ulteriore contrazione del deficit d’esercizio che si attesta a -720,5 milioni di euro, con una riduzione dell’8% circa rispetto al risultato d’esercizio 2011. La progressiva riduzione delle perdite a partire dal 2007 risulta confermata dal confronto con Regioni soggette al piano di rientro, dal quale emerge come il risultato del Lazio in termini di riduzione percentuale del deficit si dimostra tra i più rilevanti”, spiegano i magistrati contabili. Che rilevano d’altro canto una riduzione della spesa sanitaria dell’ente che nel 2012 ammontava a 10,602 miliardi di euro contro il 10,645 del 2011.
Tuttavia “permane l’esigenza di un costante controllo di particolari settori della spesa e la necessità di mantenere alto il grado di attenzione in ordine alla situazione patrimoniale. E’ indispensabile poi rilevare come permanga l’esigenza di bilanciare l’obiettivo delladeospedalizzazione con il contemporaneo sviluppo e implementazione delle forme alternative di assistenza”. E, per quanto riguarda la situazione patrimoniale, “i consistenti ritardi nell’erogazione delle risorse spettanti hanno prodotto effetti ancora visibili sulla situazione patrimoniale delle aziende”. Vale poi “richiamare l’attenzione su come il progressivo aumento della quota di partecipazione regionale alla spesa sanitaria ha portato la stessa ad assorbire nel 2012 il67% delle entrate tributarie della Regione – concludono i consiglieri – a fronte del 98% che si è registrato invece nel 2011”.
La relazione è stata ufficializzata proprio mentre il quotidiano romano Il Tempo, da notizia di tre iscrizioni nel registro degli indagati aperto dalla Procura di Rieti sui rimborsi d’oro della Regione Lazio sotto la gestione Polverini. L’indagine è nata dagli accertamenti sulle spese di Franco Fiorito, detto “Batman”, ex capogruppo del Pdl, che portò poi alle dimissioni del presidente. Nel fascicolo aperto sarebbero indagati anche l’ex tesoriere e consigliere regionale del Pd, Mario Perilli, l’ex vicepresidente della Regione Lazio e attuale sindaco di Civitavecchia, Esterino Montino e l’allora consigliere del Pd e ora caposegreteria del sindaco di Roma Ignazio Marino,Enzo Foschi che si è subito affrettato a dichiarare di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia sostenendo che “da accertamenti fatti presso la Procura di Rieti ad oggi la notizia di un’indagine nei miei confronti risulta priva di fondamento. Per questo ho dato mandato al mio avvocato di querelare il Tempo“.
L’ipotesi di reato avanzata dagli inquirenti reatini è di peculato. L’inchiesta sarebbe partita all’indomani dello scandalo che travolse l’ex capogruppo del Pdl alla Pisana. Nel mirino degli investigatori del nucleo di polizia tributaria della Guardai di Finanza sarebbero finite le spese compiute, anche nel Reatino, dai consiglieri regionali del Pd. Si parla di decine di servizi televisivi, cene, alberghi e organizzazioni di eventi. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/29/regione-lazio-fallita-da-dieci-anni-solo-nel-2012-voragine-di-4-miliardi-di-euro/795402/

giovedì 28 novembre 2013

Ciclone Sardegna, seminterrati e scantinati abitabili grazie al piano casa della Regione

Appena due anni fa, nel 2011, il Consiglio regionale della Sardegna ha approvato la legge 21. Via libera per le aree dichiarate con gradi di rischio: moderato e basso. Il geologo Fausto Pani: "L’esposizione al rischio è elevatissima al di là delle carte e della burocrazia"

di Monia Melis | 28 novembre 2013 Con il suo disincanto l’europarlamentare Pdl Laura Comi aveva centrato la questione. Nel suo intervento su Rai3, alla trasmissione Agorà, puntava il dito sulla prevenzione. Proprio nelle ore successive al disastro lasciato dal ciclone Cleopatra in Sardegna, mentre ancora si contavano le vittime, anche nelle case diventate trappole. “Mi permetta – aveva detto – ma quella persona che è andata nello scantinato nel momento in cui c’era l’alluvione, ma le sembra il caso… Qui manca un’educazione“. Subito la puntualizzazione del conduttore: “Quelle persone lì ci abitavano”, seguito dallo strascico di violenti attacchi sui giornali e sul web.
E’ vero, in molte zone dell’isola, i seminterrati e gli scantinati sono stati trasformati in appartamenti. Sopra ci sono i cosiddetti rustici: case da terminare, e nel frattempo ci si arrangia come nel resto d’Italia. Il provvisorio diventa definitivo, a volte per necessità, e così passano gli anni. Tutto abusivo e irregolare? Non proprio, perché chi vuole può essere a norma e ottenere l’abitabilità: non solo ci si può vivere, ma si può eventualmente anche affittare e vendere. Appena due anni fa, nel 2011, il Consiglio regionale della Sardegna ha approvato la legge 21, uno dei tanti Piano casa. Gli articoli modificano, precisano la norma precedente. In mezzo c’è “il recupero a fini abitativi dei seminterrati” nelle aree di completamento residenziale, ma anche in quelle agricole. L’articolo in questione è il numero 15, l’unico divieto rinvia al Piano stralcio per l’assetto idrogeologico: la trasformazione non vale infatti per le aree dichiarate “di pericolosità elevata o molto elevata ovvero in aree di pericolosità da frana elevata o molto elevata”. Via libera invece per gli altri due gradi di rischio: moderato e basso. Purché si abbia un’altezza minima di 2 metri e 40 centimetri.
Gli scantinati valorizzati nel post alluvione - “E’ una prescrizione minimale, al ribasso”, dice Nanni Sechi, professore di Idrologia e Gestione delle risorse idriche all’Università di Cagliari e conoscitore del territorio. E ricorda anche il dramma di Capoterra, nel sud, in cui nel nubifragio del 2008 morirono quattro persone: “Anche allora ci sono stati gli scantinati allagati, pure in aree considerate a rischio moderato. E non è di certo la prima volta”. Eppure la postilla che li riabilita e valorizza è successiva e proprio per questo ha creato molte polemiche, ma si è andati avanti lo stesso. Gli altri due livelli di rischio nella legenda del Piano di assetto idrogeologico sono appunto “moderato” e “basso”. “L’estensione del divieto – continua – sarebbe auspicabile, certo. E andrebbe verificata zona per zona. A ciò si aggiunge che non tutto il territorio è mappato e una conoscenza così approfondita ce l’ha il Genio civile, forse”.
Fausto Pani, geologo che ha collaborato all’estensione del Pai: “C’è poco da fantasticare dando l’abitabilità ai seminterrati. Un conto è utilizzarli per fare una cena nel week end, un conto è viverci: mangiare e dormire tutti i giorni. E poco importa se quella è la pratica comune ovunque, l’esposizione al rischio è elevatissima al di là delle carte e della burocrazia”. Non solo, rilancia Pani: “Ci si affida al Pai e al Piano delle fasce fluviali, ma non possono assolvere tutte le necessità. Ogni Comune dovrebbe adeguare lo studio nel dettaglio, anche con considerazioni storiche. Finora lo hanno fatto in 40, magari costretti dall’iter per l’approvazione Puc. Spesso così si rimodulano i vincoli. E in ogni caso le amministrazioni che ancora non hanno fatto questo approfondimento non potranno ottenere i finanziamenti regionali per la sicurezza del territorio”. Tutto bloccato, quindi.
Le accuse da Roma - Intanto va avanti il solito rimpallo di responsabilità tra Protezione civile, Regione e Comuni, mentre in Gallura e in molte zone dell’Isola l’emergenza è ancora viva. “Considero criminale che si consenta l’abitabilità dei seminterrati, soprattutto in zone a rischio esondazione: perché questi sono i presupposti che ci portano a raccattare morti in giro per l’Italia” ha tuonato il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, nel corso di un’audizione alla Commissione Ambiente della Camera sull’emergenza. Lo ha detto poco prima di partire direzione Tramatza, nell’Oristanese, dove era in corso una riunione con i sindaci dei 60 Comuni colpiti – su un totale di 377 – con il presidente della Regione, Ugo Cappellacci.
La guerra contro il Piano casa - Ora si chiede di cancellare quell’articolo: Sel e Sardigna libera in Consiglio regionale vanno all’attacco con una proposta di legge. E sullo stesso fronte si muove il senatore Sel, Luciano Uras, che ha dato indicazione di preparare il fascicolo a Cagliari per poi trasmetterlo alle Procure competenti e alle Presidenze delle Corti d’appello perché si possa verificare un intervento della Corte Costituzionale: “Come si può realizzare una cubatura destinata, per esempio, a fungere come ricovero merci, e poi affermare dire, con una norma, con un tratto di penna, che quel magazzino inospitale è diventato la casa dove una famiglia può e deve vivere?”. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/28/sardegna-seminterrari-e-scantinati-abitabili-grazie-a-piano-casa/793731/

Lazio, disoccupazione giovanile: record negativo degli ultimi 10 anni

Secondo il rapporto Eures-Uil, 4 ragazzi su 10 - di età compresa tra i 15 e i 24 anni - sono disoccupati, con un tasso di 5 punti superiore rispetto alla media nazionale. I "neet", cioè chi non studia e non lavora tra i 15 e i 29 anni, crescono dal 2006 del 4,7%, attestandosi sul 21,6%

di  | 28 novembre 2013 Sottopagati sì, in nero no”. In Lazio, chi ha tra i 15 e i 24 anni, pur di lavorare, è disposto ad accettare retribuzioni più basse. Soprattutto dopo l’ultima fotografia, scattata nel 2012 dall’Eures e dalla Uil regionale, sulla disoccupazione territoriale: 4 ragazzi su 10 sono disoccupati, con un tasso di 5 punti superiore rispetto alla media nazionale (35%). Numeri che evidenziano il record negativo degli ultimi 10 anni. Il 4% di loro non studia e non lavora, mentre diminuiscono di un quinto le assunzioni non stagionali. Dati che non lasciano alternative: il 40% è pronto a emigrare per inseguire il sogno americano. E una busta paga. L’analisi del mercato è stata presentata questa mattina a Roma e i numeri parlano di “una crisi che assume caratteri strutturali”, spiega l’organizzazione sindacale guidata da Pierpaolo Bombardieri.
Il numero degli occupati nelle 5 province laziali registra un calo di 11,7 punti percentuali: una diminuzione che è più del doppio rispetto al trend italiano. Tradotto: 11 mila lavoratori in meno rispetto al 2011. Mentre il tasso dei senza lavoro cresce del 4,7% rispetto all’andamento del Paese.Viterbo è la città più colpita con circa la metà dei ragazzi che sono a spasso. Segue Latina con il 40,3%; terza la Capitale, staccata di 0,2 punti. I giovani, tra i 25 e i 34 anni, che sono in cerca di un impiego saliti di 8 mila unità.
Crescono anche i Neet - I Not in employment, education or training, cioè chi non studia e non lavora tra i 15 e i 29 anni, crescono dal 2006 del 4,7%, attestandosi sul 21,6%. Un incremento maggiore rispetto alla media nazionale, che fa segnare una corsa al rialzo di 3,5 punti. In calo, di un quinto, anche le assunzioni dei non stagionali. Erano 44.900 nel 2011, sono 35.730 oggi. In un quinquennio 2008-2013 è del 55,5%. Tra i giovani il crollo è di circa un terzo. Cifre e numeri che non lasciano tranquilli gli studenti. Da un’analisi campionaria, condotta dalla Uil a ottobre scorso, emerge che l’alternativa alla disoccupazione è emigrare: 4 su 10 sono pronti a fare le valige per lasciare l’Italia. La fuga dei cervelli colpisce di più gli universitari iscritti a facoltà umanistiche (53%), dietro chi sceglie professioni sanitarie (28,7).
Il sogno americano piace a più di uno su tre tra i potenziali nuovi migranti. La colpa è anche delle competenze, secondo lo studio dell’Eures. L’istituto di ricerca punta il dito contro le scarse conoscenze informatiche dei giovani laziali. Meno della metà di loro dimostra una preparazione sufficiente. Le responsabilità sono da cercare anche all’interno del sistema scolastico. Solo il 47,6% ha avuto esperienze lavorative durante il percorso di studi. Uno su 4 ha ricevuto una busta paga, il 19% ha svolto stage coerenti con le materie affrontate sui banchi. Un quadro a tinte fosche che convince i ragazzi ad accettare stipendi più bassi, pur di non restare fuori dal mercato. Infatti il 27% di loro punta a portare a casa una retribuzione da 700 euro al mese. Otto su 10 sarebbero disposti ad accettare un’occupazione mal retribuita.
“Sottopagati sì, in nero no”, rispondono alla Uil. Il 68,3%, infatti, si rifiuta di non avere tutele e un contratto regolare. Nonostante tutto la metà di loro sogna uno stipendio fisso. Magari da conquistare con una raccomandazione. Anche se su questo i giovani sono spaccati a metà. E sul futuro? Nessuna illusione. Il 47% degli intervistati prevede un peggioramento su tutele contrattuali e retribuzioni. Per questo meglio un lavoro pagato poco che disoccupato.http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/28/lazio-disoccupazione-giovanile-record-negativo-degli-ultimi-10-anni/794785/

IUC, nel 2014 le tasse sui capannoni potrebbero aumentare L'analisi della Cgia Mestre

considera l’impatto della Tasi e della deducibilità Imu che scenderà dal 30% al 20% di Paola Mammarella 29/11/2013 - Il prossimo anno le tasse a carico delle piccole imprese potrebbero essere più pesanti. Ad affermarlo è la Cgia Mestre, che ha analizzato gli effetti degli sgravi introdotti dalla Legge di Stabilità 2014 e li ha comparati con l’introduzione della IUC, Imposta unica comunale, e con i livelli impositivi degli anni precedenti. Deducibilità Imu dal reddito di impresa Con la Legge di Stabilità è stato deciso che nel 2013 si potrà dedurre dal reddito di impresa il 30% dell’Imu pagata sugli immobili strumentali, cioè capannoni ed altri immobili utilizzati per lo svolgimento delle attività. Nei due anni successivi, invece, la deducibilità dell’imposta scende al 20%. L’impatto della IUC Ricordiamo che la nuova IUC è composta da Imu (Imposta municipale unica), Tari (Tributo per la raccolta dei rifiuti) e Tasi (Tassa sui servizi comunali). Secondo le proiezioni della Cgia Mestre, anche a fronte degli sgravi introdotti con la Legge di Stabilità bisogna considerare l’impatto della Tasi e l’aumento del moltiplicatore Imu, che quest’anno è passato da 60 a 65. Fattori che, oltre a compensare la deduzione dell’Imu ai fini Ires e Irpef, possono creare oneri aggiuntivi per le piccole e medie imprese. Lo studio della Cgia Mestre La Cgia Mestre è partita dall’aliquota media Imu del 9,33 per mille applicata nel 2012, dall’analisi delle tasse sui rifiuti condotta in undici capoluoghi, che ha tenuto conto dell’aumento medio nazionale del 15,5% e dalla Tasi calcolata con l’aliquota base dell’1 per mille. Dai risultati si deduce che i capannoni nel 2014 pagheranno di più. In particolare, un imprenditore con un capannone di mille metri quadri, con una rendita catastale di circa 5600 euro e un reddito di 60 mila euro pagherà 263 euro in più rispetto al 2013. Secondo l’analisi condotta, infatti, la Tasi sarà più pesante della Tares e allo stesso tempo si abbasserà dal 30% al 20% il risparmio legato alla deducibilità dell’Imu. Un imprenditore con un capannone da 3 mila metri quadri e rendita di 9700 euro e con un reddito da 80 mila euro nel 2014 pagherà 61 euro in più. In questo caso, la Tasi non peserà più della Tares, ma a fare la differenza sarà la variazione della percentuale di deducibilità Imu. Non andrà meglio neanche alle altre categorie prese in considerazione, come negozianti ed elettricisti, che potrebbero pagare rispettivamente 118 euro e 73 euro in più. I commenti Secondo il segretario della Cgia Mestre, Giuseppe Bortolussi, nonostante le variabili da esaminare siano tante, “con la Iuc corriamo il pericolo che a rimetterci siano ancora una volta i piccoli imprenditori”. http://www.edilportale.com/news/2013/11/normativa/iuc-nel-2014-le-tasse-sui-capannoni-potrebbero-aumentare_36737_15.html

Distanze tra edifici, i balconi vanno inclusi sentenza del consiglio di stato

nel computo devono essere considerate anche le sporgenze, non solo le pareti finestrate di Paola Mammarella 29/11/2013 - La distanza tra edifici si deve calcolare tenendo in considerazione tutti i punti dei fabbricati. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza 5557/2013. Il Cds ha ribadito che i limiti delle altezze massime e delle distanze minime stabiliti dal DM 1444/1968 sono inderogabili. Nelle distanze devono essere inclusi anche gli sporti, come ad esempio i balconi, mentre non possono essere prese come riferimento solo le pareti finestrate. I giudici hanno precisato che non è necessario che entrambe le pareti poste una di fronte all’altra siano finestrate. È infatti sufficiente che lo sia una sola di esse. Allo stesso tempo, il CdS ha spiegato che per finestre non si intendono solo le vedute, ma qualunque apertura verso l’esterno. Nel caso preso in esame dal Consiglio di Stato, un cittadino aveva fatto ricorso per l’annullamento dei permessi con cui era stata autorizzata la costruzione di un nuovo edificio e che consentivano di escludere i balconi dal calcolo delle distanze. Nelle autorizzazioni, per la stima delle distanze minime venivano infatti prese in considerazione solo le pareti finestrate poste una davanti all’altra. I giudici hanno quindi stabilito l’illegittimità dei permessi, che non tenevano conto delle prescrizioni del DM 1444/1968. http://www.edilportale.com/news/2013/11/normativa/distanze-tra-edifici-i-balconi-vanno-inclusi_36724_15.html

Seconda rata Imu, rivolta dei sindaci: "E' follia. Il Governo faccia chiarezza"

L'Anci chiede un incontro col Presidente del Consiglio. I sindaci avevano chiesto garanzie sul fatto che la compensazione tenesse conto dell'extragettito previsto per quei Comuni che nel 2013 avevano aumentato le aliquote. Città dove invece per il 50% a pagare dovranno essere i cittadini: " E' troppo chiedere che si dia corso agli impegni assunti?" ROMA - L'abolizione della seconda rata dell'Imu rischia di trasformarsi in una beffa per i cittadini dei circa 600 comuni dove nel 2013 sono aumentate le aliquote rispetto a quelle standard. Città dove, in base a quanto stabilito dal consiglio dei ministri, l'extragettito atteso sarà risarcito solo per metà dallo Stato mentre per il restante 50% a pagare dovranno essere i cittadini. I sindaci italiani chiedono dunque chiarezza al Governo e rinnovano la richiesta di un incontro urgente con il Presidente del Consiglio.

"Il Governo faccia rapidamente chiarezza sulla seconda rata dell'Imu 2013 e onori gli impegni assunti con i contribuenti e i Comuni italiani. I Sindaci hanno dimostrato ampiamente responsabilità e spirito propositivo, ma non si può abusare della loro pazienza  e tanto meno si può abusare della pazienza dei cittadini", ha dichiarato il Presidente della Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, Piero Fassino. "All'atto della decisione di superare l'Imu sulla prima casa - ha ancora aggiunto il Presidente Anci - il Governo assunse due espliciti impegni: i contribuenti non avrebbero più pagato l'Imu nel 2013 e ai Comuni sarebbe stato garantito l'identico importo onde poter assicurare l'erogazione di essenziali servizi ai cittadini. E' troppo chiedere che finalmente si dia corso a impegni così esplicitamente assunti?".

Durissimo in proposito anche il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, secondo cui l'eventuale scelta del Governo di restituire ai Comuni solo il 50% dell'Imu incassata nel 2013 con l'aumento delle aliquote delle addizionali "sarebbe una follia" che porterebbe allo "scontro istituzionale". "Non è neanche una scelta, saremmo alla follia. Se così fosse, e confido ancora che non sarà, saremmo allo scontro istituzionale. Milano non ci sta, l'Anci non ci sta, e nessun Governo può permettersi di andare contro gli interessi dei cittadini e di coloro che li rappresentano ovvero i comuni", ha aggiunto. 

Per il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, "sarà solo un'operazione politica, demagogica e ideologica, fine a se stessa se lo Stato non garantirà le risorse promesse ai Comuni". "L'eliminazione delle imposte - aggiunge - è sempre un dato positivo, ma tali decisioni non devono ricadere sui Comuni altrimenti si fa vedere che si abolisce una tassa, ma poi i costi della mancata tassa ricadono sui Comuni che o sono costretti a mettere altre imposte o non possono erogare i servizi essenziali ai cittadini". 

Duro anche il sindaco di Bologna, Virginio Merola, secondo cui la decisione del governo sull'abolizione dell'Imu "è una beffa per i comuni e per i cittadini". "Si è scelta una soluzione che scarica su cittadini e sindaci il costo della mancata copertura integrale della seconda rata imu. Così l'Imu sulla prima casa non è abolita e i cittadini  pagheranno, non sappiamo però  ancora chi e quanto, occorre leggere il testo definitivo". 

Tutti i sindaci italiani, da Milano a Catania, sono dunque molto preoccupati per l'incertezza che regna sulla copertura della seconda rata Imu. "Una situazione che conduce molti comuni virtuosi in una condizione di straordinaria difficoltà - spiega il sindaco di Catania, Enzo Bianco - e per le amministrazioni che hanno dovuto alzare l'aliquota, in attuazione di un obbligo di risanamento, c'è il paradosso di ritrovarsi oggi in una condizione di estrema incertezza". 

Per il sindaco di Livorno Alessandro Cosimi, coordinatore delle Anci regionali e membro dell'ufficio di presidenza dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci), "siamo sull'orlo della rottura dei rapporti istituzionali". "I Comuni italiani sono stati molto seri, qualcuno dice che hanno provato a fare i furbi, ma non è vero: fino al 30 novembre c'era tempo per aumentare le aliquote e i Comuni che lo hanno fatto, lo hanno fatto in funzione del bilancio che dovevano approvare. La confusione l'ha generata proprio il governo posticipando i pagamenti".

Il sindaco di Parma Federico Pizzarotti non si aspettava nulla di diverso dal Governo delle larghe intese. "Rassicurazioni sulla restituzione - spiega - non ci sono state ancora date, in compenso per alcune città c'è il forte rischio che, dopo l'aumento della Tares voluta dal Governo, i cittadini si troveranno a pagare nel 2014 parte di quell'Imu che il Governo delle larghe intese dichiarava di voler abolire. L'Italia non si risolleva a parole, ma con i fatti". 

Insomma, ora lo Stato chiede i soldi ai cittadini, ma sono i sindaci "a metterci la faccia". "Nulla di nuovo, siamo sempre di fronte alla pratica invalsa, messa in atto da tutti i Governi, di puntare sempre sui Comuni come esattori per le tasse dello Stato. Purtroppo questo cattivo andazzo di considerarci ancora gabellieri ce lo aspettavamo", dice il sindaco di Pescara,Luigi Albore Mascia. "Non appena chiuderò il bilancio, che diventa sempre più per cassa e non per competenza, avvierò un'azione legale contro lo stato per chiedere quanto spetta per legge al comune di pescara. E' ora di dire basta non ci stiamo più a prendere botte da tutte le parti". "L'Anci è sempre stata collaborativa e responsabile ma - aggiunge il sindaco di Pavia e vicepresidente vicario dell'Anci, Alessandro Cattaneo - tra noi sindaci, adesso c'è fibrillazione perchè temiamo di dover chiedere ai nostri cittadini nuovamente soldi. Così non va bene". 

"Io ritengo che non si debbano più intrattenere i rapporti istituzionali con il Governo e che l'Anci non debba partecipare più ai tavoli", aggiunge il sindaco di Varese, Attilio Fontana, membro dell'Ufficio di presidenza dell'Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci), convinto che i sindaci debbano ormai scegliere la linea dura. Una posizione che ribadirà nel corso del prossimo Ufficio di presidenza dell'Anci, già convocato per il 5 dicembre proprio per valutare la legge di stabilità e le misure dell'esecutivo sulla seconda rata Imu.
http://www.repubblica.it/politica/2013/11/28/news/imu_la_rivolta_dei_sindaci_il_governo_faccia_chiarezza-72187926/?ref=HRER1-1

Seconda rata Imu, la “beffa” per i Comuni. Anci: “Governo faccia chiarezza”

Nel 2013 in 600 città sono aumentate le aliquote rispetto a quelle standard. In base a quanto stabilito dal Consiglio dei ministri, l’extragettito atteso sarà ristorato solo per metà dallo Stato mentre per il restante 50% a pagare dovranno essere i cittadini

di  | 28 novembre 2013 ”Sarebbe una follia”. Per il sindaco di Milano Giuliano Pisapia la copertura da parte dello Stato di solo metà dell’aumento dell’aliquota Imu “non è neanche una scelta. Se così fosse, e confido ancora non sarà – ha detto – saremmo allo scontro istituzionale”. Della stessa opinione il primo cittadino di Napoli, Luigi De Magistris: “I sindaci – ha detto – si sono stancati di essere bancomat o esattori del governo”. L’abolizione della seconda rata della tassa sulla casa rischia di trasformarsi in una beffa per i cittadini dei circa 600 comuni dove nel 2013 sono aumentate le aliquote rispetto a quelle standard. Città dove, in base a quanto stabilito dal Consiglio dei ministri, l’extragettito atteso sarà ristorato solo per metà dallo Stato mentre per il restante 50% a pagare dovranno essere i cittadini. A intervenire sulla decisione di Palazzo Chigi anche il presidente dell’Anci Piero Fassino che chiede al governo di fare “rapidamente chiarezza sulla seconda rata dell’Imu 2013 e onori gli impegni assunti con i contribuenti e i comuni italiani”.
Tra i circa seicento Comuni, oltre a Milano, ci sono Benevento, Bologna, Verona e Genova. Ma anche Catania, Napoli e Frosinone. Molti degli enti locali, che hanno aderito alla procedura di ‘pre-dissesto’, lo hanno fatto anche perché costretti dalle norme. L’Anci, nei giorni scorsi, aveva chiesto al governo di assicurare la piena compensazione della seconda rata Imu con la copertura delle aliquote deliberate dai Comuni nel 2013. Calcolando, dunque, che il rimborso necessario si aggirava su una cifra pari a quasi 2,9 miliardi di cui 500 milioni legati proprio all’aumento voluto quest’anno dai sindaci.
“Milano non ci sta – ha aggiunto Pisapia – l’Anci non ci sta e nessun governo può permettersi di andare contro gli interessi dei cittadini e quindi di coloro che li rappresentano, ovvero i Comuni”. L’amministrazione del capoluogo lombardo ha deciso l’innalzamento per il 2013 dell’aliquota Imu prima casa dallo 0,4% allo 0,6%, per un maggior introito, rispetto all’anno precedente, di circa 110 milioni di euro. Con la decisione del governo, quindi, i milanesi dovrebbero pagare di tasca propria 55 milioni di euro. 
L’Anci, per voce del suo presidente Fassino, spiega che “non si può abusare della loro pazienza e tanto meno si può abusare della pazienza dei cittadini” a fronte del comportamento dei sindaci, che “hanno dimostrato ampiamente responsabilità e spirito propositivo”. Il sindaco di Torino, che ha rinnovato la richiesta di un incontro col presidente del Consiglio, ha ricordato che il governo “assunse due espliciti impegni: i contribuenti non avrebbero più pagato l’Imu nel 2013 e ai Comuni sarebbe stato garantito l’identico importo onde poter assicurare l’erogazione di essenziali serviziai cittadini. E’ troppo chiedere che finalmente si dia corso a impegni così esplicitamente assunti?”.
Il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, però, non si aspettava “nulla di diverso dal governo dellelarghe intese che – aggiunge – ha solo avanzato false promesse sulla pelle dei cittadini“. “Mesi fa – prosegue – era stato garantito ai sindaci che all’abolizione dell’Imu sarebbe seguita una copertura integrale dello stesso importo, necessaria per continuare a erogare servizi essenziali al cittadino. Chiaro adesso, come allora, che si trattava solo propaganda elettorale”.  De Magistris, però, assicura: ”L’ipotesi che il governo non dia ai Comuni le risorse promesse non è proprio da prendere in considerazione. Se così fosse, ce le andremo a prendere”.  http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/28/seconda-rata-imu-la-beffa-per-i-comuni-anci-governo-faccia-chiarezza/794507/

mercoledì 27 novembre 2013

Tasse sulla casa, ecco come funzionerà la nuova IUC: prime case saranno esenti dall’Imu, ma pagheranno la Tari e la Tasi;

i Comuni potranno introdurre detrazioni in base all’utilizzo dei servizi di Paola Mammarella 28/11/2013 - Dopo l’approvazione della Legge di Stabilità in Senato, con la comparsa della IUC, Imposta Unica Comunale, si delinea il nuovo scenario delle tasse sulla casa. Per le prime case scomparirà l’Imu, mentre si dovranno pagare le componenti della nuova imposta legate ai servizi comunali e alla raccolta dei rifiuti IUC, cosa è e come funziona La nuova IUC è composta da Imu (Imposta municipale unica), Tari (Tributo per la raccolta dei rifiuti) e Tasi (Tassa sui servizi comunali, come ad esempio trasporti e illuminazione). Le prime case, a eccezione di case di lusso, ville e castelli, rientranti nelle categorie catastali A1, A8 e A9, non pagheranno l’Imu, ma dovranno invece corrispondere la Tari, commisurata ai metri quadri dell’immobile o ai rifiuti prodotti, e la Tasi. Sulle abitazioni principali l’aliquota base della Tasi è stata fissata all’1 per mille, ma i Comuni possono aumentarla fino al 2,5 per mille o diminuirla fino ad azzerarla grazie ad uno stanziamento di 500 milioni di euro previsto dalla Legge di Stabilità. La Tasi deve essere pagata sia dal possessore sia dall’utilizzatore dell’immobile. Ciò significa che sono chiamati all’esborso anche gli inquilini, che verseranno però un importo oscillante tra il 10% e il 30% del totale. Le detrazioni sulla Tasi non sono regolate sul numero dei figli conviventi, come accadeva con l’Imu, ma sul grado di utilizzazione dei servizi comunali. Potrà pagare meno chi soggiorna nell’abitazione (ad esempio casa al mare) solo pochi mesi all’anno, chi risiede all’estero per più di sei mesi o chi abita da solo. Per il pagamento della Tasi sono previste quattro rate: 16 gennaio 16 aprile, 16 luglio e 16 ottobre. Restano invece invariate, a giugno e dicembre, le tempistiche dell’Imu per seconde case e altri immobili. Imu e Tasi, come potrebbe cambiare l'imposizione sugli immobili La Cgia Mestre ha fatto una serie di proiezioni per capire se, col nuovo sistema di tasse, i proprietari di prima casa pagheranno di più rispetto al 2012, anno dell’entrata in vigore dell’Imu. Nel primo scenario ipotizzato dalla Cgia Mestre i Comuni destinano i 500 milioni messi a disposizione dalla Legge di Stabilità per rimodulare la Tasi su tutti i 19,7 milioni di abitazioni principali. Se venisse messa in pratica questa decisione, per ogni abitazione ci sarebbe uno sconto di 26 euro e la Tasi si rivelerebbe più gravosa dell’Imu, soprattutto in presenza di figli. Ricordiamo infatti che l' Imu prevedeva una detrazione di 200 euro più 50 euro per ogni figlio convivente. Si tratta comunque di un’ipotesi semplicistica, perché nella realtà ogni Comune può decidere di destinare le risorse a disposizione a favore dei nuclei familiari con redditi bassi o di usare come criterio di valutazione il numero di figli a carico o il valore dell’abitazione. Nel secondo scenario ipotizzato, invece, sia l'Imu sia la Tasi danno diritto alla detrazione di 200 euro più 50 euro per ogni figlio convivente. In questo caso la Tasi avrebbe un peso minore dell’Imu dato che l'aliquota Tasi può arrivare al massimo al 2,5 per mille, mentre l'aliquota media Imu registrata nel 2012 si è attestata al 4,4 per mille. In realtà si tratta di un’ipotesi non realistica http://www.edilportale.com/news/2013/11/normativa/tasse-sulla-casa-ecco-come-funzioner%C3%A0-la-nuova-iuc_36720_15.html non tiene conto del fatto che la detrazione per i figli conviventi era stata stabilita solo per il 2012 e il 2013.

Lazio, la Regione aumenta l’Irpef per tre anni: “Solo così ci salveremo dal crac”

Per ammorbidire il colpo dell’incremento dello 0,6% dell'addizionale, che dal gennaio 2015 passa a 2,33 punti percentuali, il governatore Nicola Zingaretti assicura che le tasse andranno giù dal 2017 in poi

di  | 27 novembre 2013 Prima la brutta notizia, poi la promessa. Per ammorbidire il colpo dell’aumento dello 0,6%dell’Irpef, che dal gennaio 2015 nel Lazio passa a 2,33 punti percentuali, il presidente della Regione Nicola Zingaretti assicura che le tasse andranno giù fra 3 anni. Intanto per salvare la Regione dal crac, le prossime buste paga dei romani e non solo saranno più leggere. Si va, secondo le proiezioni, dagli 80 euro chiesti a un operaio fino ai 360 che dovranno sborsare i quadri. “Salvi” invece un milione di contribuenti che non supera il tetto dei 15mila euro lordi di stipendio. Per rispettare “il principio della progressività delle imposte”, spiega il governatore che ha presentato il bilancio di previsione 2014. La corsa al rialzo dell’aliquota si fermerà solo nel 2017, quando si registrerà una pressione del 3,33%. Soglia che candida l’ente di via Colombo ad essere tra i più esigenti d’Italia.
Un “incremento inevitabile” per scongiurare il default, aggiunge Zingaretti. Il prezzo da pagare per sbloccare i fondi del governo che servono per onorare i debiti verso le imprese, come imposto dal decreto 35 del 2013, varato dal governo Monti. I numeri visionati dall’assessore al BilancioAlessandra Sartore parlano chiaro. Circa 10 miliardi di prestiti finanziari, altri 12 da restituire alle aziende che hanno lavorato con la pubblica amministrazione. Soldi che servono per dare ossigeno all’economia regionale. Con la speranza, quella del governatore democratico, che servano per rilanciare il Pil laziale: la crescita è stimata tra lo 0,7 e l’1%. In un triennio si potrebbe arrivare a 3 punti. Grazie al decreto, infatti, 5 miliardi sono stati già immessi nel circuito. Altri 3 dovrebbero arrivare entro il 2014. Impossibile evitare il pagamento dei crediti vantati da fornitori e ditte che “se li avessero richiesti, mettendo in mora la Regione – continua Zingaretti – avrebbero portato al default”.
Secondo il presidente, meglio l’aumento dell’Irpef, dunque, che “non pagare gli stipendi”. Poco più di mezzo punto per i prossimi 12 mesi. Si passa dall’1,73 al 2,33%. Ma l’incremento non è per tutti. Sarà esentato oltre 1 milione di contribuenti che non supera il tetto dei 15mila euro lordi annui. Un nuovo balzello di 34 euro al mese per chi sfiora i 35mila euro di busta paga. Tradotto: se un operaio quest’anno vede volatilizzarsi 346 euro, il prossimo saranno 466. Un quadro passerà da un’aliquota che chiede 1038 euro di imposte a 1398. Una corsa al rialzo che peserà di più sulla situazione economica di un impiegato, che vedrà alleggerirsi la busta paga di 745 euro.
Non solo debiti verso le imprese, ma anche quelli fuori bilancio che l’attuale amministrazione di centrosinistra imputa alla gestione della giunta guidata dall’ex presidente Renata Polverini. Si va dai 700 milioni per il trasporto pubblico di Roma agli oltre 100 per le residenze sanitarie assistenziali, passando per i 10 di contributi agli enti culturali. Per questo, e per rispettare il decreto 35 del 2013, l’asticella salirà di un altro punto nel 2016. Si passerà così dai 2,33 ai 3,33 punti percentuali. Una stangata che farà diventare il Lazio la terra più tartassata dal punto di vista fiscale, perché a quel punto sarebbero superate anche CampaniaCalabria e Molise. Secondo il ministero dell’Economia è la Regione dove sulla fiscalità si registra il 57% in più rispetto alla media del resto d’Italia.
Nel documento di economia e finanza, che torna 5 anni dopo essere stato messo in soffitta, c’è spazio anche per la dieta dell’ente. Al capitolo spending review si registra mezzo miliardo di euro in meno: tra gli altri, 87 per i costi della politica e 120 per centrale unica degli acquisti. Tra le buone notizie quella dell’esenzione del bollo per l’acquisto di auto ecologiche e la rateizzazione in 48 mesi, prima erano 12, dei debiti tributari regionali. Soldi da risparmiare per rimetterli nel circuito dello sviluppo (+50), cultura (+7,5) e politiche agricole (+28). Il bilancio previsionale della giunta Zingaretti arriverà nei prossimi giorni nell’acquario della Pisana. Obiettivo: l’approvazione prima di Natale. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/27/lazio-regione-aumenta-lirpef/793067/