CdS: gli impianti da rinnovabili sono ‘di pubblica utilità’, prima di vietarli vanno individuate alternative meno impattanti
13/09/2016 – Non si può negare in modo generico l’autorizzazione paesaggistica ad un piccolo impianto fotovoltaico in zona agricola. È necessario che la fruibilità e l’estetica del paesaggio siano compromesse in modo grave e l’Autorità preposta alla tutela dell’ambiente e del paesaggio deve prima suggerire soluzioni alternative in grado di minimizzare l’impatto dei pannelli.
È arrivato a queste conclusioni il Consiglio di Stato con la sentenza 1201/2016.
Nel caso esaminato, un’azienda vitivinicola aveva realizzato un piccolo impianto fotovoltaico sul tetto dei fabbricati agricoli aziendali. La Soprintendenza aveva fatto sì che il Comune non rilasciasse l’autorizzazione paesaggistica e l’azienda aveva quindi presentato ricorso al Tar.
Il Tribunale Amministrativo aveva dato ragione all’impresa, ma la decisione aveva scontentato le Amministrazioni, che avevano presentato ricorso in appello al Consiglio di Stato.
I giudici del CdS hanno confermato la decisione del Tar spiegando che, ai sensi delD.lgs. 387/2003, “le opere funzionali agli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile sono espressamente qualificate dalla legge come opere di pubblica utilità, in quanto la produzione di energia pulita è incentivata dalla legge”.
Il diniego, ha continuato il CdS, deve essere particolarmente stringente. Non è sufficiente fornire motivazioni generiche attinenti alla tutela del vincolo paesaggistico e alla generica minor fruibilità del paesaggio dal punto di vista estetico perché, ha sottolineato il CdS, l’impianto si trova sul tetto di un’impresa agricola che per definizione è un “presidio per la salvaguardia dei valori ambientali”.
Assodato che l’impianto non pregiudicava la fruibilità del paesaggio, i giudici hanno aggiunto che “l’Amministrazione deve suggerire accorgimenti tecnici funzionali ad abbattere ulteriormente l’impatto negativo dei pannelli”. Cosa che, invece, non è stata fatta perché il diniego era generico e non proponeva nessuna alternativa.
Per questi motivi l’impianto ha ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie per rimanere regolarmente in funzione.
È arrivato a queste conclusioni il Consiglio di Stato con la sentenza 1201/2016.
Nel caso esaminato, un’azienda vitivinicola aveva realizzato un piccolo impianto fotovoltaico sul tetto dei fabbricati agricoli aziendali. La Soprintendenza aveva fatto sì che il Comune non rilasciasse l’autorizzazione paesaggistica e l’azienda aveva quindi presentato ricorso al Tar.
Il Tribunale Amministrativo aveva dato ragione all’impresa, ma la decisione aveva scontentato le Amministrazioni, che avevano presentato ricorso in appello al Consiglio di Stato.
I giudici del CdS hanno confermato la decisione del Tar spiegando che, ai sensi delD.lgs. 387/2003, “le opere funzionali agli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile sono espressamente qualificate dalla legge come opere di pubblica utilità, in quanto la produzione di energia pulita è incentivata dalla legge”.
Il diniego, ha continuato il CdS, deve essere particolarmente stringente. Non è sufficiente fornire motivazioni generiche attinenti alla tutela del vincolo paesaggistico e alla generica minor fruibilità del paesaggio dal punto di vista estetico perché, ha sottolineato il CdS, l’impianto si trova sul tetto di un’impresa agricola che per definizione è un “presidio per la salvaguardia dei valori ambientali”.
Assodato che l’impianto non pregiudicava la fruibilità del paesaggio, i giudici hanno aggiunto che “l’Amministrazione deve suggerire accorgimenti tecnici funzionali ad abbattere ulteriormente l’impatto negativo dei pannelli”. Cosa che, invece, non è stata fatta perché il diniego era generico e non proponeva nessuna alternativa.
Per questi motivi l’impianto ha ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie per rimanere regolarmente in funzione.
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