Processo ai coniugi Solli e a due tecnici, le motivazioni della sentenza che ha assolto gli imputati Assolti per un incolpevole errore. Seppur soggetti qualificati dal punto di vista professionale, il Tribunale ha escluso profili di negligenza, imprudenza ed imperizia nelle loro condotte. E’ quanto emerge dalle motivazioni (depositate il 14 gennaio 2015) della sentenza emessa del collegio penale presieduto da Lucia Aielli - giudici a latere Luigi Giannantonio e Maria Assunta Fosso estensore - per la vicenda giudiziaria che ha interessato l’ex sindaco di Prossedi Franco Solli, sua moglie Peppina Di Mambro, Oliviero De Bellis e Antonio Giuseppe Marrocco, rispettivamente proprietari, i primi due, di un immobile finito sotto inchiesta, responsabile dell’ufficio tecnico del Comune che ha rilasciato il permesso a costruire e il direttore dei lavori per la realizzazione del medesimo immobile.
LA STORIA. La vicenda risale al 2010 quando all’ex sindaco, consigliere comunale all’epoca dei fatti, fu contestata dal Nucleo investigativo del Corpo Forestale dello Stato (Nipaf) dopo accertamenti scattati a seguito di un esposto di un consigliere di opposizione del Comune di Prossedi. In particolare i forestali constatarono che era in corso di realizzazione un manufatto autorizzato da De Bellis per la realizzazione di una pertinenza dell’abitazione principale insistente sullo stesso fondo. La Forestale riscontrò anche che la superficie consentita di 35 metri quadrati superiore a quella possibile per una pertinenza poiché nel calcolo era stato inclusa alla superficie dell’abitazione principale anche quella del garage che non poteva essere presa in considerazione in quanto già, a sua volta, da qualificarsi pertinenza. Il manufatto, inoltre, era stato considerato frutto di una violazione alle norme tecniche attuative del Prg che in zona B1 prevedeva un lotto minimo di 500 metri quadrati. Nel caso specifico se ne contavano due in meno.
LA STRADA SBAGLIATA. Per gli imputati rinviati a giudizio per abusivismo edilizio e abuso d’ufficio, il Pm aveva poi chiesto l’assoluzione in virtù di una perizia che evidenziò sì la correttezza delle contestazioni formulate nell’informativa del Nipaf ma anche il fatto che l’opera in questione avrebbe potuto essere legittimamente autorizzata qualora la richiesta di rilascio del titolo abitativo fosse stata presentata in termini diversi. Quali? Gli interessati avrebbero potuto “guardare” un po’ più in là del recinto e risolvere il loro problema senza intraprendere la via tortuosa della pertinenza. Il consulente sostenne che qualora i coniugi Solli, titolari anche di un lotto attiguo, avessero presentato al Comune la richiesta di rilascio del permesso di costruire indicando entrambe le aree di loro proprietà, avrebbero potuto, salve le ulteriori valutazioni tecniche da effettuarsi in concreto, ottenere il rilascio di un legittimo titolo abilitativo, sussistendo il lotto minimo richiesto: “In tal caso, potendo realizzarsi un volume sulla particella in questione, sarebbe venuto meno – si ricostruisce nelle motivazioni della sentenza dalla trascrizione delle dichiarazioni rese dal consulente – anche l’ulteriore problema della qualificazione come accessorio o pertinenza del manufatto edificato e, quindi, del rispetto del limite del 20% del fabbricato principale”.
L'ASSOLUZIONE. Il Tribunale quindi, pur riconoscendo l’errore, ha evidenziato la complessità del quadro normativo in cui si è verificato il fatto e assolto gli imputati dal reato di abusivismo per errore inconsapevole e riconosciuta la buona fede anche dal reato di abuso d’ufficio.
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