domenica 23 marzo 2014
VARIANTE LE GALLERIE FRANANO OPERA A RISCHIO. CALTAGIRONE E TOTO CHIEDONO MEZZO MILIARDO IN PIÙ. AUTOSTRADE: “È TUTTO A POSTO”
di Daniele Martini
Sono vent’anni che lavorano
alla Variante di
Valico, il tracciato bis
dell’autostrada del Sole
sull’appennino tosco-emiliano,
tra Barberino del Mugello e
Sasso Marconi. E dopo vent’an -
ni non solo non si vede la fine,
ma le gallerie franano e c’è il rischio
che si debbano buttar via
almeno altri cinque anni di lavori.
Di più: c’è il pericolo che la
Variante sia addirittura chiusa
prima del taglio del nastro nonostante
nel frattempo i costi
siano aumentati di oltre mezzo
miliardo di euro. Quattrini al
momento contesi tra privati, i
Benetton concessionari dell’au -
tostrada e i costruttori Toto e
Caltagirone (con la società Vianini)
più Profacta, ma che gira e
rigira, prima o poi, trattandosi
di una strada a pagamento, saranno
scaricati sugli automobilisti
attraverso i pedaggi.
La strana storia
dei due tunnel
Su quei colli e quelle montagne
hanno costruito due gallerie, la
Val di Sambro, completata, e la
Sparvo, praticamente finita da
poco, pur sapendo fin dal giorno
in cui misero in moto ruspe e
talpe, che la tenuta di quei manufatti
era un gigantesco punto
interrogativo. E c’era perfino la
possibilità che prima o poi entrambe
le gallerie dovessero diventare
inutilizzabili. Sarebbe
un vero peccato e un guaio pazzesco
perché, a differenza di
molte grandi opere italiane, la
Variante di Valico non è un lusso
o uno spreco, ma una necessità,
un raddoppio autostradale
pensato per rendere più fluido il
collegamento su gomma tra
nord e sud della penisola. Quel
nuovo percorso dovrebbe eliminare
o ridurre i gravi inconvenienti
del tracciato attuale
che si inerpica tra le gole delle
montagne risultando difficile
da percorrere d’inverno quando
nevica o causando negli altri
mesi dell’anno rallentamenti e
code dovuti alle pendenze del
tracciato. Le gallerie Val di
Sambro e Sparvo sono un pezzo
di questa gigantesca opera, la
più grande infrastruttura stradale
attualmente in costruzione
in Europa.
Montagna mobile
e i paesi si spostano
Il guaio è che quei tunnel sono
pressati da frane lente, inesorabili
e devastanti di milioni di
metri cubi di terra e rocce. Il
movimento della montagna ha
toccato prima la Val di Sambro
spingendola di lato e facendole
correre il rischio di portarla
fuori asse rispetto al tracciato
stradale all’aperto. La frana che
si è messa in moto è così enorme
che anche i paesetti vicini, Ripoli
di Sotto e Santa Maria
Maddalena, hanno cominciato
a spostarsi come presi per mano
da un gigante. Ora tocca alla
Sparvo che si trova un po’ più a
sud, verso Firenze. Con l’espe -
rienza maturata a Val di Sambro
e consapevoli dei rischi legati
alla realizzazione del nuovo
buco nella roccia, hanno usato
sistemi ultramoderni per realizzare
la nuova galleria e soprattutto
una talpa, vezzosamente
chiamata Martina, la più
grande d’Europa, più veloce di
quelle tradizionali e dotata di
apparecchiature tali da bloccare
nell’immediato ogni cedimento
della terra. In un paio d’anni i
costruttori hanno scavato entrambe
le canne della galleria,
cinque chilometri in totale. Ma
ora, implacabile, la montagna si
sta prendendo la rivincita: pressati
dalla frana stanno saltando i
conci della Sparvo, i rivestimenti
in calcestruzzo della volta
della canna nord, per una
lunghezza di 350 metri circa. E
come scrive il senatore Jonny
Crosio della Lega Nord in
un’interrogazione presentata
ieri al ministro dell’Ambiente,
addirittura, “sono già stati individuati
segnali premonitori di
un analogo danneggiamento
del rivestimento della corrispondente
tratta della canna
sud”. Sono indicatori eloquenti
e preoccupanti che al momento
manca la sicurezza necessaria
per aprire la galleria al traffico.
Il committente nega
La Lega interroga
“La situazione è tale – scrive ancora
il parlamentare – da far temere
ulteriori e più rilevanti
danneggiamenti che potrebbero
comportare il crollo della
galleria”. Detto in altro modo:
c’è il rischio che la Variante di
Valico non possa essere aperta.
Almeno fino a quando non saranno
trovati rimedi che rendano
sicuri i tunnel o non ne vengano
costruiti altri su un altro
tracciato. È una grana gigantesca.
Fin dall’inizio della vicenda
il committente dei lavori, Autostrade
dei Benetton, ha cercato
di minimizzare i rischi, in qualche
caso negandoli. Sentiti dal
Fatto i rappresentanti della società
preferiscono non rilasciare
dichiarazioni ufficiali, limitandosi
a sostenere che è tutto
sotto controllo. I costruttori
Caltagirone e Toto, però, sono
di tutt’altro avviso. Alcuni giorni
fa, per esempio, hanno preparato
un appunto dai contenuti
molto allarmanti e lo hanno
inviato al ministro delle Infrastrutture,
Maurizio Lupi, e a
Mauro Coletta, commissario
per la Variante di Valico e direttore
della struttura di vigilanza
sulle autostrade.
L’allarme
dei costruttori
In quelle pagine i costruttori ricordano
di aver fatto presente
fin dall’inizio ad Autostrade che
il progetto per le gallerie non
andava bene perché c’era il rischio
di svegliare il gigante delle
frane. Cosa che si è puntualmente
verificata. Nel caso della
Sparvo il parere dei costruttori
era sostenuto anche dagli esperti
di una commissione tecnico-
scientifica. La società Autostrade,
però, è stata di altro avviso,
forse perché se il percorso
delle gallerie fosse stato spostato
più in basso, ci sarebbe stata
la necessità di fare tunnel più
lunghi con costi maggiori. Che i
pericoli fossero seri è dimostrato
dalla circostanza che perfino
l’assicurazione Ina-Assitalia è
arrivata al punto di negare per
un certo periodo le necessarie
coperture per gli appalti. Ora
che il guaio è fatto, i costruttori
si ritengono danneggiati, sostengono
di aver speso molto
più del previsto e vorrebbero da
Autostrade 564 milioni di euro
di “indennizzi e maggiori compensi”.
Cioè mezzo miliardo di
euro e passa in più rispetto al
costo iniziale concordato che
era 420 milioni.
Grandi opere magari
Stretto, Mose, Metro C
e Tav: tutti gli sprechi
L’Autostrada del Sole fu terminata in sei anni. La cominciarono
nel 1956 e nel 1962 le macchine da Milano già
viaggiavano fino a Napoli. Bei tempi, almeno per le opere pubbliche.
Sarà stato il boom, lo spirito del Dopoguerra o chissà
che, ma allora nell’Italietta che si stava facendo grande, le infrastrutture
le costruivano sul serio. C’erano anche a quei tempi
ruberie e scandali come quello delle piste di Fiumicino e il ministro
democristiano dei Trasporti, Giuseppe Togni. Oppure,
rimanendo sull’Autosole, la “variante Fanfani” ad Arezzo, la
sua città, con il tracciato deviato per esaudire i desiderata del
signor ministro.
QUELLE INFRASTRUTTURE fecero comunque grande il Paese e
ancora oggi viviamo di rendita su quelle opere. Adesso si spende
tanto e spesso non si realizza nulla. Cronaca degli ultimi due
giorni: la Variante di Valico dell’Autosole e l’arresto dello stato
maggiore per le Infrastrutture lombarde che stava occupandosi
anche di Expo 2015. Sono gli ultimi casi di una regola fissa delle
grandi opere: per un motivo o per un altro ormai non se ne salva
una, siano esse necessarie per migliorare la malmessa dotazione
del Paese o al contrario progettate solo per succhiare quattrini
pubblici e distribuire mazzette. Rapida rassegna. Dopo anni di
grancassa il ponte sullo Stretto di Messina ha giustamente fatto
la fine ingloriosa che tutti sanno. I tempi di costruzione e le spese
per la Metro C di Roma sono fuori di gran lunga rispetto alle
previsioni. Per il Mose, le paratie mobili sulla laguna di Venezia
che a detta di chi le vuole dovrebbero salvare la città dall’acqua
alta, si allargano sia i tempi di consegna sia i costi. Il Tav, la linea
ad alta velocità tra Torino e Lione, è oggetto di una contestazione
durissima incentrata sulla convinzione che sia sostanzialmente
inutile. I quattrini pubblici scorrono a fiumi. Le megalomanie
berlusconiane per il ponte di Messina sono costate
400 milioni circa per il pagamento del progetto e per tenere in
vita la società apposita, con i
suoi amministratori, dirigenti e
ben 54 dipendenti. E non è finita
perché le imprese chiamate
in causa, da Eurolink-Impregilo
a Parsons, pretendono di essere
pagate per il disturbo: quasi
800 milioni di euro. Per la linea
C, la nuova metropolitana
di Roma, rispetto ai tempi di
costruzione e al costo dell’ope -
ra stabiliti nel contratto dell’au -
tunno 2006, siamo oltre ogni limite:
doveva essere consegnata
in 1.760 giorni e siamo a 2.700
circa e forse sarà pronta nell’estate
del 2015. Doveva costare 2
miliardi e 683 milioni di euro e
invece ammontano a 3 miliardi e 740 milioni le somme elencate
nell’ultimo aggiornamento contabile scaturito dal famoso e
contestato accordo di settembre tra Campidoglio e costruttori.
LE 74 PARATIE MOBILI del Mose sono in costruzione dalla bellezza
di più di un quarto di secolo (27 anni, per l’esattezza).
Quando cominciarono il costo preventivato riportato all’euro
era di 1 miliardo e 200 milioni. I soldi già spesi sono sei volte
tanto. Ovvio che l’Italia resti al palo, impoverita da sprechi e
ruberie che non migliorano una dotazione infrastrutturale carente.
Neanche l’ordinaria manutenzione riusciamo più a garantire
e fa rabbia pensare che ci siano manager pubblici come
Pietro Ciucci, amministratore dell’Anas, che si vanta di qualche
milione di utile a fine anno mentre le strade vanno a pezzi.
dan. mar.
il fatto quotidiano 22 marzo 2014
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