La
trasparenza impossibile
Siamo
tutti fulminati
dalle
bollette elettriche
CATTIVE
NOTIZIE
La
famiglia media italiana spende
512
euro l’anno per la luce,
ma
solo il 38 per cento della cifra
è
legata al consumo effettivo
Tutto
il resto (circa 300 euro)
si
paga per tasse, accise e balzelli
molto
difficili da individuare
Sta
di fatto che ogni anno
gli
italiani si ritrovano in fattura
14
miliardi di contributi parafiscali
e
altri 9 miliardi di tasse
UTENZE-2
TRADUZIONE
PER TARTASSATI
Dovrebbe
essere semplice: c’è un prezzo, una quantità e un costo finale.
Chi
più
consuma, più spende. E invece non è mai così lineare. Il nostro
viaggio
nell’imperscrutabile
mistero dei conti bimestrali, dal gas all’a c qu a
di
Alessio Schiesari Quanto
vale l’e l e ttricità
consumata
dalla
famiglia-tipo
italiana
in un
anno?
Circa 200
euro,
meno del 40
per
cento della bolletta. Tutto il resto
(la
spesa media è di 512 euro)
sono
tasse, accise, contributi e oneri
parafiscali.
C’è un obolo per i petrolieri
e
un altro per le ferrovie, uno
per
le aziende che consumano
troppo
e un altro per
le
centrali inutilizzate. E
poi
ancora: il contributo
per
abolire l’Imu, quello
per
lo smaltimento delle
centrali
nucleari e una caterva
di
milioni per fotovoltaico,
eolico
e scarti delle
raffinerie.
Nella bolletta
che
le famiglie ricevono
questi
costi sono mascherati:
si
pagano, ma non sono
scritti
da nessuna parte. Per
semplificare,
dicono le
aziende.
O forse perché, se
tutti
i balzelli fossero esplicitati,
gli
utenti si renderebbero
conto
che pagano
ogni
anno 14 miliardi di
contributi
parafiscali e altri
9
miliardi di tasse: quanto
una
manovra finanziaria
lacrime
e sangue. Nei prossimi
mesi
arriverà la nuova
bolletta
elettrica (che vi
mostriamo
qui accanto),
un
po’ più trasparente.
Servizi
di vendita:
un
affare da 600 milioni
Questa
voce (49,43 per cento
del
totale della bolletta)
corrisponde
al prezzo pagato
per
l’energia elettrica. O,
almeno,
dovrebbe essere così.
In
realtà viene conteggiato
in
questa sezione anche il
cosiddetto
servizio di interrompibilità
che
vale 469 milioni
di
euro l’anno. Per capire
di
che si tratti bisogna
tornare
al black out del
2003,
quando la caduta di un
albero
su un traliccio lasciò
l’Italia
al buio per mezza
giornata.
Quel tronco continua
a
costare alle famiglie
469
milioni di euro l’anno. Da allora,
Terna
e il governo selezionano una
lista
di grandi consumatori di elettricità
che,
in caso di nuovo black out,
rinunceranno
a ricevere elettricità
per
il tempo indicato dal gestore di
rete.
Il dato su quante volte sia stato
necessario
ricorrere a questa misura
di
emergenza è tenuto segreto. In
cambio,
si sa che le aziende “i n t e rrompibili”
vengono
lautamente
compensate
da oltre un decennio.
Non
solo: nel 2010 al servizio di interrompibilità
si
è aggiunto quello di
super-interrompibilità,
che costa altri
136
milioni di euro per coprire
anche
Sicilia e Sardegna. Dentro ai
servizi
di vendita troviamo anche il
cosiddetto
capacity payment:
un contributo
da
150 milioni l’anno che finanzia
le
centrali mentre funzionano
a
vuoto, perché i consumi calano
e
la produzione da rinnovabili è in
crescita.
Assoelettrica, con in testa la
disastrata
Sorgenia di Carlo De Benedetti,
da
mesi batte cassa chiedendo
di
alzare il contributo.
Oneri
di sistema, l’abolizione Imu
e
gli scarti di raffineria ecologici
Questo
capitolo, che pesa per più di un
quinto
(21,43 per cento) sulla bolletta ed
è
raddoppiato negli ultimi tre anni, oggi
è
“nascosto” dentro ai servizi di rete, cioè
le
spese per cavi, tralicci e tutte le altre
infrastrutture
necessarie a trasportare
l’elettricità.
Ogni contributo (sono tantissimi)
corrisponde
a uno sconto per
una
lobby, o un amico di un amico, che
viene
finanziato da maggiorazioni sulle
bollette.
Dentro ci si trova di tutto: la voce
di
gran lunga più pesante è quella per
gli
incentivi a fonti rinnovabili e assimilate
che
costa a ogni utente 93 euro l’an -
no.
Le rinnovabili sono (prevalentemente)
eolico
e solare. All’interno dello
stesso
contributo “ecologico” si trovano
le
fonti assimilabili, cioè termovalorizzatori
e
impianti che producono energia
bruciando
gli scarti delle raffinerie. L’ul -
timo
balzello in ordine di tempo e per gli
sconti
agli energivori, ovvero tariffe agevolate
per
le imprese manufatturiere che
consumano
molta elettricità. Si potrebbe
obiettare
che, se il risparmio energetico
è
un obiettivo, non ha senso chiedere
alle
famiglie di pagare la bolletta alle industrie
che
consumano di più. Ma non è
tutto.
Negli ultimi mesi sono stati presentati
al
Tar una raffica di ricorsi: supermercati,
compagnie
telefoniche,
Ikea,
tutti pretendono una fetta della torta.
Anche
le ferrovie (sia Italo che Trenitalia)
hanno
reclamato la loro parte.
Eppure
le strade ferrate di Rfi ricevono
già
una sconto: è stato approvato nel
1963
in occasione della privatizzazione
delle
industrie elettriche ed è ancora in
vigore.
Ci sono poi i costi per lo smantellamento
delle
centrali nucleari spente
che
si continueranno a pagare fino al
2021:
149 milioni di euro solo l’anno
scorso.
Da questo fondo, grazie alla finanziaria
2006
di Giulio Tremonti, lo
Stato
“preleva” altri 100 milioni l’anno.
Come
vengano spesi non si sa. L’abitu -
dine
di considerare la bolletta un bancomat
è
stata ripresa dal governo Letta,
che
ha introdotto un prelievo straordinario
di
300 milioni per finanziare l’abolizione
Imu.
Addizionali
e Iva
meno
consumi, più paghi
Oltre
ai tanti prelievi fiscali disseminati
tra
le precedenti voci, c’è una sezione
della
bolletta dedicata ad accise
e
imposte sui consumi. Per l’e l e t t r i c ità,
come
per il gas, l’Iva si paga anche
sulle
accise: una vera e propria tassa
sulla
tassa. Inoltre le accise sono inversamente
proporzionali
ai consumi:
una
famiglia costretta a vivere in
un
piccolo appartamento paga una
quota
di tasse superiore al proprietario
di
una villa con piscina.
CI
VUOLE IL TECNICO
“7
mila euro per il monolocale da 22 metri quadrati”
RITROVARSI
con la cassetta
della
posta intasata dalle
bollette:
otto conguagli in 32
giorni,
totale da pagare
7.501,33
euro. Lucia Petromarchi
è
una pensionata romana
e
proprietaria di un appartamento
in
centro. Appartamento,
in
realtà, è una
parola
grossa: si tratta di un
monolocale
di 22 metri quadrati.
Lucia
lo usa per ospitare
i
suoi amici e quelli del
figlio.
Per il resto non ci vive
nessuno.
Eppure, secondo
Enel,
in quei 22 metri quadrati
è
stata consumata l’elettricità
sufficiente
per fare
funzionare
un ristorante.
La
sua disavventura inizia a
settembre
2010, quando
cambia
compagnia elettrica
e
passa da Acea a Enel. Le
bollette
che riceve per il successivo
anno
e mezzo sono
nella
norma: 50, 55, al massimo
60
euro a bimestre. A
fine
2012 trova un inquilino
per
l’appartamento che decide
di
cambiare nuovamente
gestore
e si intesta il contratto.
Il
tecnico di Acea si
porta
via il vecchio contatore
e
fa firmare a Lucia un modulo
pieno
di numeri. La raffica
di
bollette “p a zze ” a r r i va
solo
successivamente, a inizio
2013,
quasi due anni dopo
i
presunti consumi. Stando
alla
legge Lucia può perfino
considerarsi
fortunata:
l’azienda
elettrica ha cinque
anni
di tempo per inviare la
bolletta.
Pazienza se, come
nel
caso di Lucia, intanto il
cliente
ha cambiato contratto
e
non può fare nessuna
verifica:
“Vada a parlare con
Acea,
sono loro che gestiscono
i
contatori a Roma. Il
suo
ce l’hanno loro”, le spiega
l’impiegata
del centro
clienti
Enel. Sì, ma i 7.501 euro
a
Lucia non li sta reclamando
Acea,
ma una società
di
riscossione incaricata
da
Enel. “Molte di queste
aziende
chiamano a casa alle
dieci
di sera per spaventare
gli
anziani e spingerli a
pagare
”, continua l’impiegata.
Lucia,
grazie a un avvocato,
è
riuscita a sospendere la
riscossione.
Ora sta cercando
di
rintracciare il vecchio
contatore
per capire come
sia
possibile che abbia conteggiato
così
tanto.
il fatto quotidiano 13 aprile 2014
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