In una recente sentenza la Cassazione ha classificato i cambi d'uso come ristrutturazioni pesanti, bloccando la riconversione degli edifici storici
Negli interventi di restauro e risanamento conservativo saranno consentiti i cambi di destinazione d’uso. Lo prevede un emendamento alla Manovrina 2017, che ha ottenuto il via libera della Camera.
La misura potrebbe placare il caos sollevato negli Uffici tecnici comunali dopo la sentenza 6873/2017, con cui la Cassazione ha escluso che, dopo il restauro, gli edifici nei centri storici possano trasformarsi in alberghi o residenze di lusso.
I giudici hanno ricordato che il DL 133/2014 "Sblocca Italia" convertito nella Legge 164/2014, ha apportato delle semplificazioni al testo Unico dell’edilizia (Dpr 380/2001) consentendo, nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, la possibilità di procedere al frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari, la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari e del carico urbanistico. Questa semplificazione, hanno aggiunto i giudici, non va confusa con il cambio di destinazione d’uso, che resta invece vietato.
La Cassazione ha affermato che il cambio di destinazione d’uso è un intervento di ristrutturazione pesante per cui è richiesto il permesso di costruire. Non basta però procurarsi il titolo abilitativo richiesto, il problema è che molti regolamenti edilizi vietano la ristrutturazione pesante all’interno dei centri storici.
Questo significa che molti interventi di recupero degli edifici storici rimarrebbero bloccati, visto che spesso sono finanziati da società che poi intendono trasformarli in residenze o alberghi. Il risultato prospettato dagli Architetti di Firenze sarebbe il progressivo abbandono e degrado dei centri storici, nonostante ci siano norme che incentivano il recupero del patrimonio edilizio esistente e impongono il consumo di suolo zero.
L’emendamento riscrive la definizione di “interventi di restauro e risanamento conservativo”. Se i contenuti saranno confermati dalle Camere, all’interno di questi lavori, saranno ammessi anche i cambi di destinazione d’uso a condizione che siano conformi con lo strumento urbanistico generale e i piani attuativi e che rispettino le caratteristiche dell’edificio.
In questo modo si dovrebbe sciogliere l’impasse che sta bloccando molti Comuni, che temendo interpretazioni normative errate hanno bloccato il rilascio delle autorizzazioni. Bisogna però considerare che Stato e Regioni hanno una competenza legislativa concorrente in materia di urbanistica. Il D.lgs. 222/2016 (contenente la tabella che, in corrispondenza di ogni lavoro riporta il titolo abilitativo da presentare) stabilisce che, salvo diversa normativa regionale, il cambio di destinazione d’uso richiede il permesso edilizio. La palla passa quindi alle Regioni, che devono prendere una posizione a riguardo.
La misura potrebbe placare il caos sollevato negli Uffici tecnici comunali dopo la sentenza 6873/2017, con cui la Cassazione ha escluso che, dopo il restauro, gli edifici nei centri storici possano trasformarsi in alberghi o residenze di lusso.
Cambi d’uso, per la Cassazione è una ristrutturazione pesante
In una recente pronuncia, la Cassazione ha affermato che il cambio di destinazione d’uso è qualificabile come un intervento di ristrutturazione pesante, per il quale è necessario il permesso di costruire.I giudici hanno ricordato che il DL 133/2014 "Sblocca Italia" convertito nella Legge 164/2014, ha apportato delle semplificazioni al testo Unico dell’edilizia (Dpr 380/2001) consentendo, nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, la possibilità di procedere al frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari, la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari e del carico urbanistico. Questa semplificazione, hanno aggiunto i giudici, non va confusa con il cambio di destinazione d’uso, che resta invece vietato.
Rischio abbandono dei palazzi storici e caos nei Comuni
Subito dopo la pronuncia della Cassazione, l’ordine degli Architetti di Firenze ha sottolineato il punto critico, destinato a creare confusione.La Cassazione ha affermato che il cambio di destinazione d’uso è un intervento di ristrutturazione pesante per cui è richiesto il permesso di costruire. Non basta però procurarsi il titolo abilitativo richiesto, il problema è che molti regolamenti edilizi vietano la ristrutturazione pesante all’interno dei centri storici.
Questo significa che molti interventi di recupero degli edifici storici rimarrebbero bloccati, visto che spesso sono finanziati da società che poi intendono trasformarli in residenze o alberghi. Il risultato prospettato dagli Architetti di Firenze sarebbe il progressivo abbandono e degrado dei centri storici, nonostante ci siano norme che incentivano il recupero del patrimonio edilizio esistente e impongono il consumo di suolo zero.
Manovrina e restauri con cambio di destinazione d’uso
Durante l’esame della Manovrina 2017 è stato approvato un emendamento che modifica l’articolo 3, comma 1 lettera c) del Testo Unico dell’edilizia.L’emendamento riscrive la definizione di “interventi di restauro e risanamento conservativo”. Se i contenuti saranno confermati dalle Camere, all’interno di questi lavori, saranno ammessi anche i cambi di destinazione d’uso a condizione che siano conformi con lo strumento urbanistico generale e i piani attuativi e che rispettino le caratteristiche dell’edificio.
In questo modo si dovrebbe sciogliere l’impasse che sta bloccando molti Comuni, che temendo interpretazioni normative errate hanno bloccato il rilascio delle autorizzazioni. Bisogna però considerare che Stato e Regioni hanno una competenza legislativa concorrente in materia di urbanistica. Il D.lgs. 222/2016 (contenente la tabella che, in corrispondenza di ogni lavoro riporta il titolo abilitativo da presentare) stabilisce che, salvo diversa normativa regionale, il cambio di destinazione d’uso richiede il permesso edilizio. La palla passa quindi alle Regioni, che devono prendere una posizione a riguardo.
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